venerdì 1 giugno 2012

Allegry e l'importanza del gioco e del divertimento


Una volta ero Grey. Mi chiamavano così, Grey.

“Come va, Grey?”, mi chiedevano.
“Male”, rispondevo. Rispondevo male anche se andava bene, perché pensavo che fosse sempre meglio prepararsi al peggio.
Se c’era il sole e qualcuno mi diceva “Bella giornata oggi, vero Grey?”, io replicavo “Già, ma potrebbe mettersi a piovere”.
E capitava che qualche volta finiva davvero per piovere.
Se un anatroccolo o un’ochetta sguazzavano nell’acqua, io li ammonivo “Vi farete male o combinerete un guaio”.
Quando mi invitavano a giocare a carte o a pingpong, io dicevo “Non mi va”, anche se magari mi andava, perché consideravo più saggio dedicarmi a cose utili. Il fatto è che da troppo tempo noi oche siamo abituate a commenti del genere Stupida come un’oca.
Così io mi impegnavo a fondo per dare di me un’idea diversa, l’impressione di avere un cervello e di saperlo usare.

Ponderavo ogni questione giudicandola, il più delle volte, poco intelligente.

Tutte le faccende per me erano noiose, sciocche, frivole, insulse, poco interessanti.
“Vieni a mangiare la pizza, Grey?”, mi chiedevano.
E io: “La pizza fa ingrassare”.
“Vediamo la tivù, Grey?”. E io: “La tivù è per dementi”.
“Facciamo una nuotata, Grey?” E io: “Nuoto solo se devo andare in qualche posto”.
“Due chiacchiere, Grey?” E io: “Ok. Parliamo di meccanica quantistica”.
E loro: “Perché invece non parliamo di calcio o della primavera alle porte o di moda?”
E io: “Allora non ho niente da dire”.
Stavo spesso da solo e tutto sommato mi sembrava di star bene.

Poi mi è capitato tra le zampe Glu.

Un giorno ero sul fiume e cercavo alghe, quando fui colpito da qualcosa.
Era un sacco che galleggiava sull’acqua. Un sacco, la maggior parte delle volte, è una cosa inutile e di scarso interesse.
Feci quindi per scansarmi e lasciare che proseguisse la sua discesa a valle, allorché prese a miagolare.
Anche le oche più stupide al mondo sanno che un sacco non miagola. Così, prima che la corrente se lo portasse giù per il fiume, ho afferrato il sacco con il becco e l’ho trascinato a riva. Dal sacco è sbucato fuori Glu (l’ho chiamato Glu perché se non era per me sarebbe sicuramente affogato), un gattino nero, un cucciolo.
Glu mi ha guardato e poi ha detto “Cmiao!” Ma anziché essere disperato o arrabbiato per la sorte che gli era toccata (essere abbandonato nel fiume e dentro un sacco per giunta farebbe girare le scatole a chiunque!), si è messo a giocare con un filo d’erba, come niente fosse.
Che strano tipo, ho pensato.
E mentre pensavo, lui si è messo a rincorrere le penne della mia coda.
Non avendo dove andare, l’ho ospitato nel mio nido, fatto di erbe, alghe e rametti. “E’ solo per questa notte”, gli ho detto. E lui mi si è arrampicato sulla testa facendo le fusa. Il giorno seguente ho deciso di insegnargli a nuotare, nel caso qualcuno lo avesse gettato nuovamente in acqua.
Glu ha imparato subito e dopo aver imparato si è messo a schizzarmi e poi mi è salito sulla schiena e si faceva portare, neanche fossi una barca!
E siccome al tramonto ero stanco e anche lui lo era, è rimasto a dormire un’altra notte. “Domani ti trovi un posto tutto tuo”, gli ho detto. Il terzo giorno si è nascosto e io non lo trovavo più.
Alla fine è saltato fuori da un cespuglio facendomi prendere un bello spavento. Giocava a nascondino. E siccome al tramonto si era nascosto di nuovo, l’ho tenuto con me anche quella notte.
Il quarto giorno Glu mi ha detto che se ne sarebbe andato. Io ho detto: “Era ora”, ma dopo dieci minuti mi sentivo tremendamente solo. Allora sono andato a cercarlo e gli ho chiesto se aveva voglia di rimanere un altro po’ con me.

Glu non è noioso, non è sciocco, né frivolo, né insulso, né poco interessante. E’ solo un cucciolo. Insieme facciamo delle cose che non servono a niente, tipo giocare, parlare, scherzare, mangiare la pizza, nuotare. Le facciamo così, senza un motivo, per divertirci.

Abbiamo perfino inventato un nuovo gioco. Ci sono delle caselle disegnate per terra, che vanno dall’1 al 63. Si tira un dado e si avanza di tante caselle quante ne indica il dado. In ogni casella succede qualcosa di divertente (a volte si va avanti, a volte si va indietro, a volte si sta fermi o si paga pegno). Vince chi per primo arriva all’ultima casella. L’abbiamo chiamato Il Gioco dell’Oca. Non è forte?

Ah, dimenticavo.
La faccenda del nome.
Una volta ero Grey. Ora sono Allegry.
E’ stato Glu a darmi il nome Allegry.
Ha detto che se io avevo dato un nuovo nome a lui, lui doveva dare un nuovo nome a me. Allegry, ha detto, ora mi si addice.