“Come va, Grey?”, mi chiedevano.
“Male”, rispondevo. Rispondevo male anche se andava bene, perché
pensavo che fosse sempre meglio prepararsi al peggio.
Se c’era il sole e
qualcuno mi diceva “Bella giornata oggi, vero Grey?”, io replicavo “Già, ma
potrebbe mettersi a piovere”.
E capitava che qualche volta finiva davvero per
piovere.
Se un anatroccolo o un’ochetta sguazzavano nell’acqua, io li ammonivo
“Vi farete male o combinerete un guaio”.
Quando mi invitavano a giocare a carte
o a pingpong, io dicevo “Non mi va”, anche se magari mi andava, perché
consideravo più saggio dedicarmi a cose utili. Il fatto è che da troppo tempo
noi oche siamo abituate a commenti del genere Stupida come un’oca.
Così io mi impegnavo a fondo per dare di me
un’idea diversa, l’impressione di avere un cervello e di saperlo usare.
Ponderavo ogni questione giudicandola, il più delle volte, poco intelligente.
Tutte le faccende per me erano noiose, sciocche, frivole, insulse, poco interessanti.
“Vieni a mangiare la pizza, Grey?”, mi chiedevano.
E io: “La pizza fa
ingrassare”.
“Vediamo la tivù, Grey?”. E io: “La tivù è per dementi”.
“Facciamo
una nuotata, Grey?” E io: “Nuoto solo se devo andare in qualche posto”.
“Due
chiacchiere, Grey?” E io: “Ok. Parliamo di meccanica quantistica”.
E loro:
“Perché invece non parliamo di calcio o della primavera alle porte o di moda?”
E io: “Allora non ho niente da dire”.
Stavo spesso da solo e tutto sommato mi
sembrava di star bene.
Poi mi è capitato tra le zampe Glu.
Un giorno ero sul fiume e cercavo
alghe, quando fui colpito da qualcosa.
Era un sacco che galleggiava sull’acqua.
Un sacco, la maggior parte delle volte, è una cosa inutile e di scarso
interesse.
Feci quindi per scansarmi e lasciare che proseguisse la sua discesa
a valle, allorché prese a miagolare.
Anche le oche più stupide al mondo sanno
che un sacco non miagola. Così, prima che la corrente se lo portasse giù per il
fiume, ho afferrato il sacco con il becco e l’ho trascinato a riva. Dal sacco è
sbucato fuori Glu (l’ho chiamato Glu perché se non era per me sarebbe
sicuramente affogato), un gattino nero, un cucciolo.
Glu mi ha guardato e poi
ha detto “Cmiao!” Ma anziché essere disperato o arrabbiato per la sorte che gli
era toccata (essere abbandonato nel fiume e dentro un sacco per giunta farebbe
girare le scatole a chiunque!), si è messo a giocare con un filo d’erba, come
niente fosse.
Che strano tipo, ho
pensato.
E mentre pensavo, lui si è messo a rincorrere le penne della mia coda.
Non avendo dove andare, l’ho ospitato nel mio nido, fatto di erbe, alghe e
rametti. “E’ solo per questa notte”, gli ho detto. E lui mi si è arrampicato
sulla testa facendo le fusa. Il giorno seguente ho deciso di insegnargli a
nuotare, nel caso qualcuno lo avesse gettato nuovamente in acqua.
Glu ha
imparato subito e dopo aver imparato si è messo a schizzarmi e poi mi è salito
sulla schiena e si faceva portare, neanche fossi una barca!
E siccome al
tramonto ero stanco e anche lui lo era, è rimasto a dormire un’altra notte.
“Domani ti trovi un posto tutto tuo”, gli ho detto. Il terzo giorno si è
nascosto e io non lo trovavo più.
Alla fine è saltato fuori da un cespuglio
facendomi prendere un bello spavento. Giocava a nascondino. E siccome al
tramonto si era nascosto di nuovo, l’ho tenuto con me anche quella notte.
Il
quarto giorno Glu mi ha detto che se ne sarebbe andato. Io ho detto: “Era ora”,
ma dopo dieci minuti mi sentivo tremendamente solo. Allora sono andato a
cercarlo e gli ho chiesto se aveva voglia di rimanere un altro po’ con me.
Glu non è noioso, non è sciocco, né frivolo, né insulso, né poco
interessante. E’ solo un cucciolo. Insieme facciamo delle cose che non servono
a niente, tipo giocare, parlare, scherzare, mangiare la pizza, nuotare. Le
facciamo così, senza un motivo, per divertirci.
Abbiamo perfino inventato un nuovo gioco. Ci sono delle caselle
disegnate per terra, che vanno dall’1 al 63. Si tira un dado e si avanza di
tante caselle quante ne indica il dado. In ogni casella succede qualcosa di divertente
(a volte si va avanti, a volte si va indietro, a volte si sta fermi o si paga
pegno). Vince chi per primo arriva all’ultima casella. L’abbiamo chiamato Il Gioco dell’Oca. Non è forte?
Ah, dimenticavo.
La faccenda del nome.
Una volta ero Grey. Ora sono
Allegry.
E’ stato Glu a darmi il nome Allegry.
Ha detto che se io avevo dato un
nuovo nome a lui, lui doveva dare un nuovo nome a me. Allegry, ha detto, ora mi
si addice.